Tutto può essere bello se presentato nella giusta maniera.
Sin dalle sue origini, il cinema si è diviso tra 'reale' e 'immaginario', tra documentario e finzione. Oggi viviamo in un'epoca in cui la molteplicità delle immagini ci bombarda quotidianamente, dove la distinzione tra film, documentario e video diventa pressocché difficile da distinguere per il pubblico meno avvertito.
<< Tutto può essere bello se presentato nella giusta maniera >> scrive così, nel 1926, John Grierson, colui che coniò il termine documentario. Ma anche qui si potrebbero analizzare i vari aspetti che identificano il genere del documentario. È giusto, però, soffermarsi sul valore che il cinema documentario tiene come forma di “documento” e non come genere a se stante, pre-costruito e finto. Il concetto di documentario nasce dall'urgenza stessa di confrontarsi con un mondo in rapida trasformazione, di filmarlo, esplorarlo e di condividerlo con un pubblico attento, mentre il cinema di fiction si presentava sottoforma di intrattenimento e sagace portatore di una finzione della realtà. Esiste però un confine invisibile nel mondo del documentario, quella linea che noi non sempre identifichiamo nella visione di un'opera filmica e al centro di questa riflessione c'è la questione dell'immagine come documento. È quella fase dell'andare oltre, della soglia, del limite, che attende lo spettatore e lo conduce a varcare l'inatteso e il sorprendente, il vero e l'oggettivo.
Diffusione dei mezzi e dei supporti tecnologici, attrezzature non professionali quali telefoni cellulari o telecamere compatte, hanno diffuso questo nuovo interesse nel racconto documentativo, moltiplicandone così le realtà possibili. Pensiamo per un momento a tutte le immagini che ci pervengono quotidianamente da zone di guerra, da manifestazioni, da situazioni in cui un semplice smartphone può catturare e fare la differenza per qualche storia importante o avvenimento storico. Qui non c'è una messa in scena, né un regista o attori, né tantomeno una produzione. Qui parliamo di istante della realtà, dove l'immagine diviene armata e poi documento. Un riferimento che voglio fare, è sul filmmaker ucraino Vladimir Shevchenko che nel mese di aprile del 1986 filmò, con la sua cinepresa e due cameraman, le prime immagini dopo l'esplosione della centrale nucleare a Chernobyl.
Quelle immagini non sono un vero e proprio documentario (non come lo si potrebbe immaginare oggi), né tanto meno cinema del reale. Quelle clip realizzate da Shevchenko rappresentano, perfettamente, il concetto di “documento”, ovvero, quando l'immagine - che sia essa fotografica o filmica - diventa contenuto fondamentale per la società, o più banalmente, una “prova” di ciò che succede.
Quelle immagini divennero parte del suo film Chernobyl - Chronicle of Difficult Weeks (1987) che potete trovare e visionare in calce all'articolo.
Shevchenko morirà circa un anno dopo quelle riprese, per via della troppa esposizione alle radiazioni.
Ecco, il cinema - nella sua lunga storia - ha avuto molteplici casi di prove filmate e avvenimenti storici documentati e, quella appena citata, ne è un esempio. Ma del resto, altri fatti importanti sono pervenuti a noi grazie all'utilizzo del mezzo della cinepresa, che, nel bene o nel male, ha documentato la nostra storia.
Colui che filma diventa portatore di verità. Colui che filma dovrebbe avere in sé, una consapevolezza di moralità, perché documentare o filmare dei fatti, non significa solamente “vendere” e condividere delle informazioni, bensì esse, possono (e devono) oggettivare uno stato di coscienza. Nel manifesto Verso un Terzo Cinema (1969), Fernando Solanas e Octavio Getino descrivono così la loro versione di come il 'sistema' riduca il cinema a merce che esiste per soddisfare le esigenze delle grandi corporation o media: << […] In terzo luogo il cinema è, a nostro avviso, il cinema che riconosce in questa lotta la manifestazione culturale, scientifico, artistico e più gigantesco del nostro tempo, la grande possibilità di costruire una personalità liberata, con ogni popolo come punto di partenza - in una parola, la de-colonizzazione della cultura >>.
Il filmmaker, attraverso l'utilizzo della sua telecamera, detiene il potere di raccontare ciò che vuole, di utilizzare la macchina da presa come uno strumento di lotta rispetto ad una arroganza di immagini necessariamente 'costruite'. Il documentario così concepito è stato e sarà in grado di dare una svolta al linguaggio del cinema e delle informazioni.
È fondamentale, dunque, dotarsi degli strumenti giusti per raccontare, leggere o guardare la contemporaneità attraverso la lente formante del documentario.
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