<< Tutto il mio percorso rimanda alla pittura di Friedrich, al paesaggio sublime che colma il vuoto dell’uomo. Nel mio lavoro è lo sguardo di chi guarda ad essere preso in esame >>.
Scomparso un anno fa, il 2 luglio 2019, Rocco Mortelliti è stato un brillante videoartista.
La sua mancanza ha creato un vuoto incolmabile. Una perdita pesante per molte persone e, presumibilmente, anche nel mondo dell’arte. Chi ha avuto modo di vedere le sue opere, di sicuro sa a cosa mi riferisco.
I.
Nato nel 1984, Mortelliti arriva ad occuparsi di cinema nei primi anni d’Accademia a Reggio Calabria, nel corso di Scenografia. I suoi primi lavori, prettamente roba cinematografica e di finzione, nascevano da una passione primordiale legata a quel cinema d’intrattenimento che ci piaceva definire come “americano”. Questo periodo lo accompagnerà per lungo tempo, portandolo a realizzare i primi cortometraggi prettamente di genere sci-fi.
Purtroppo, seppur dei lavori d’esordio - ad oggi - queste opere, non sono più visibili.
Per chi come me ha vissuto quegli anni con Mortelliti, il ricordo è ancora ben chiaro in mente. Rammento benissimo di quando allestimmo una sala di posa molto grezza per realizzare un fondale nero dove far “volare” un ragazzo nel buio cosmico. Momenti che, ricordarli oggi, sembrerebbe di vedere gli effetti speciali dei film di ‘serie b’ di Ed Wood.
Ecco, quei primi piccoli film di R., volevano essere l’inizio di un percorso cinematografico dedito alla rappresentazione della pura finzione della realtà.
Tutti noi, in un modo o nell’altro, abbiamo iniziato “sbagliando”. Quell’atto di cadere in errore è stato (e sarà) sempre un passo importante per capire il senso delle cose, per realizzare che ciò che hai fatto in passato diventa apprezzabile solo nel momento in cui lo ricordi - quando, dopo anni, sei riuscito a capire veramente ciò che avresti voluto essere.
Questa riflessione non è solamente relegata al mondo dell’arte, ma diventa applicabile - secondo la mia visione - a tutto ciò che vorremmo diventare.
Il mio percorso è molto simile a quello fatto da Mortelliti e stare qui a scriverne, mi rende orgoglioso dei passi fatti, delle opere realizzate, del dolore vissuto e delle persone che ho incontrato.
La mancanza di un amico come R. è tanta. Manca il confronto, la rabbia, il sacrificio e le risate. Mancano tutti quei momenti che si vivono nell’ombra dell’arte e che sono fondamentali per una crescita ragionata.
Mortelliti era una persona chiusa in sé stesso. Mi piace definirlo come un ‘misantropo contemporaneo’. Viveva nel suo mondo, assente dalla vita sociale ma non per questo schivo o scontroso anzi, tutt’altro. La sua produzione artistica si porta dietro questo bagaglio di esperienza in solitaria.
Guardando le sue opere video si percepisce come la solitudine è stata forgiante nella costruzione dell’inquadratura, di quell’immagine “edificata” al fine di renderla evanescente. Fondamentale è anche l’utilizzo dello spazio, il modo in cui lo modella - o per dirla come uno dei suoi autori preferiti - Andrej Tarkovskij, lo scolpisce. Parliamo di uno spazio vitale, dove corpo, mente e ambiente creano, tutti insieme, una visione univoca di tempo.
È Mortelliti stesso, tramite un’intervista rilasciata qualche anno fa al magazine Small Zine, a porci il suo pensiero a riguardo: << Lo spazio e il tempo rappresentano la materia prima a cui attingere. Il corpo diventa un punto di partenza per la scoperta di uno spazio fuori sincrono dal tempo. Passato, presente e futuro diventano un tutt’uno con l’ambiente, il corpo viene stravolto pur rimanendo un punto fermo >>.
Un esempio di quanto appena descritto è (era) visibile nel documentario Via Valle degli Angeli (2015), dove il tempo, lo spazio e le persone sono tutte parti integranti dell’inquadratura.
Con una dilatazione temporale tale da rendere gli attimi del quotidiano come dei protagonisti “reali”, quasi senza stacchi di montaggio. Per intenderci, più vicino ad un piano sequenza come tecnica di ripresa.
Forse anche per questo che Mortelliti apprezzava il cinema del grande regista russo sopra citato.
II.
Quel periodo vissuto a Roma lo ha portato a ri-scrivere un nuovo pensiero della sua vita ed anche del suo percorso artistico. Rimanendo quasi sempre solo, con amici prettamente selezionati, Mortelliti si specializza presso l’Accademia di Belle Arti della città eterna in Arti Multimediali e Tecnologiche. Da qui in avanti, inizierà a dedicarsi pienamente a quella forma d’arte che nasce sul finire degli anni ‘50, la videoarte.
Un mondo nuovo per R. Un mondo ancora da esplorare e sfruttare in tutte le sue potenzialità.
Dapprima, l’approccio è prettamente legato al linguaggio cinematografico, nei primi lavori di questa seconda fase si ritrova ancora un certo sapore di “fiction”.
L’esperienza della visione, dello studio e dei viaggi, lo porteranno a cambiare rotta quasi subito.
Rammento ancora il momento di quando mi parlò della visita fatta alla mostra Il rinascimento elettronico di Bill Viola a Firenze o dell’attesa infinita nel vedere l’ultima opera di Matthew Barney.
Ecco, da qui in avanti, R. sviluppa un senso visionario che lo porterà in pochissimo tempo a ragionare non più su un livello di scrittura testuale, bensì a lasciarsi trasportare dalle visioni della sua mente. Nasceranno così opere come Corpo Vitreo (2014), Athletic track (2016), Oggetto volante non identificato (2017) e, nel giro di tre anni, riesce ad affermarsi con delle esposizioni di notevole interesse - una tra tutte - la Triennale di Milano, con l’opera Autostrada A3 (2015).
‘Definirsi’. Questo l’aggettivo che più trovo appropriato per chiarire la personalità di R. negli ultimi anni. Cercare la definizione di qualcosa, definire i suoi video, la sua arte. Questo senso di insicurezza lo ha accompagnato sino al giorno della sua scomparsa.
L’assenza come presenza, tangibile nei suoi video, rappresenta la forza che riempie il vuoto della sua esistenza.
R. affermava: << Utilizzo il video come mezzo di prolungamento del corpo dell’individuo mediante suoni e rumori che ricreano la presenza dell’osservatore all’interno del contesto in cui si trova. In quel lasso di tempo in cui si è premuto il tasto REC >>.
La mancanza della sua fisicità nella vita quotidiana veniva sopperita con il mezzo della telecamera, utilizzata come “medium”, come strumento divisorio tra lui e l’arte. Allo stesso tempo, quella distanza fisica veniva colmata dal concetto dell’appartenenza, di quanto l’uomo (per lui) fosse indispensabile al fine del raggiungimento di una determinata situazione.
Ecco, Mortelliti, riusciva a riempire questo vuoto attraverso l’immagine, il suono - e, più di tutti, il silenzio.
III.
L’opera di Mortelliti è tanta. Ho avuto la fortuna di essere uno dei suoi pochi amici ristretti e questo, mi ha dato la possibilità di visionare opere che oggi non esistono più.
In questi ultimi mesi ho cercato di recuperare un po' dei suoi video sparsi in giro per festival, associazioni e curatori con cui R. ha avuto modo di collaborare e confrontarsi. Ed è grazie a loro se oggi sono riuscito a riordinare parte del suo percorso artistico.
Questo scritto, oltre ad essere un omaggio personale per R., vuole anche donare a chi legge, una sintesi di vita e opere di un bravo videoartista e, magari, essere la prima fonte di studio della sua ricerca. Naturalmente, quanto scritto in questo articolo, non è esaustivo dell’intera vita e del percorso artistico di R., ma nel corso del tempo ci sarà momento per avere più materiale e approfondire quindi la situazione.
Di seguito, trovate una serie di link che rimandano a quattro opere che sono state caricate online per essere visionate.
Corpo Vitreo è un viaggio. Uno di quelli in cui lo guardi e la perdizione si prende cura di te sino alla fine, rendendoti una persona vuota colma solo delle immagini che lo rappresentano.
Athletic track rimane, per me, l’opera più bella e in assoluto la più emblematica dell’intera opera di Mortelliti. Una costante variabile tra sensazioni emotive e libertà di tempo che si stagliano nell’inquadratura.
Oggetto volante non identificato anche se non dichiarato dall'autore, rappresenta un bellissimo omaggio a quella coppia di fotografi che hanno ispirato R., Bernd e Hilla Becher.
Il video chiaramente non evidenzia solo questo sottile dettaglio, ma c'è anche una voglia di scomodare quel cemento per espropriarlo dalla terra e farlo diventare 'forse' un oggetto volante. Spazzarlo via.
Queste quattro opere, per il momento, sono una piccola esperienza sensoriale di quel "misantropo contemporaneo" di Rocco Mortelliti.
IV.
Di questo lungo viaggio fatto assieme, rimarrà un’immagine - che porterò sempre con me - a memoria della bella amicizia che ci legava.
Un'immagine della sua quotidianità, ovvero: un libro riposto sul comodino, come metafora di stasi, che ci ricorda quanto importante fosse la letteratura.
E così, Trilogia della città di K. di Ágota Kristóf rimane un simbolo di resistenza. Un simbolo che R. ci ha voluto lasciare.
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